E’ aprile, un giovedì per la precisione, uno dei tanti.
Ci sono i ciliegi in fiore, l’aria comincia a profumare di fiori ed erba appena tagliata. La chiamano primavera, io la chiamo transizione. Il periodo in cui quello che si è, si scontra con i mille vorrei rinchiusi in un cassetto da aprire quando ci sarà il momento giusto o, più semplicemente, quando si decide “ora o mai più”. Fino a questo momento stanno bene lì tra gli orecchini con le pietre colorate che da chissà quanto tempo non si indossano più ma che restano. Strano, vero? Come sia così difficile sbarazzarsi delle cose diventate inutili, che non servono più a niente se non a occupare spazio, ma che non riesci a lasciarle andare. Eppure lasciare non è così complicato, è molto difficile recuperare il tempo perso. Come riprendere yoga dopo mesi, come riassaporare il thé alla liquirizia, diventato il best of prima ancora di quello allo zenzero e cannella. Come riascoltare la musica soffermandosi su tutte le parole e non solo il ritornello. Come gustarsi il tempo semplicemente sfogliando un vecchio libro di fotografie ricordando le risate, gli abbracci, le lacrime. E stare bene lo stesso. Come imparare a sentire il proprio respiro, come quando ti arriva il messaggio che non ti aspetti, forse l’ultima pensata ma la prima sperata. “Ciao, come stai?”, un semplice e banale che cambia la giornata o un’intera vita. Chissà. Comunque nel dubbio, quel messaggio mandatelo, sempre. Che tentare la sorte nelle questioni di cuore, non ha mai fatto male a nessuno. E se andasse male, non volete togliervi la soddisfazione di dirgli (tanto tornano, tornano sempre): “Peccato, il treno, è passato”. Ma non è questo il punto, cioé, voglio dire: “E se andasse bene?”.
*Per sentiti vivo*.
Del resto, conta questo, conta solo questo.
Avrei voluto fare un post sulle playslist, anzi sulla mia playlist preferita.
Magari un’altra volta. La prossima.
Nessun commento