Non riusciamo a stare ferme un secondo prese tra mille pensieri, messaggi, impegni lavorativi e meno. Non riusciamo a stare ferme con i piedi capaci di ballare per ore ed ancora ore sulle note di “Hold back the river”, a piedi nudi per sentirsi libere con i tacchi buttati poco più in là. Nemmeno con gli occhi ci fermiamo mai, capaci di cogliere ogni sfumatura, molto spesso dell’anima. Non ci fermiamo mai e la mancanza di puntualità, ormai, non è mai l’eccezione. Ma “se una ragazza quando arriva è carina chi se ne infischia se è in ritardo?” (Salinger). Inquiete, instabili, innocenti, disilluse o illuse, romanticamente sconnesse e scorrette, non riusciamo a stare ferme nemmeno con la voce per intonare qualche canzone sentita chissà dove in qualche serata trascorsa tra amici a base di Moscow mule. Che solo a sentirlo nominare viene voglia di berlo magari in qualche angolo lontano del mondo, il più distante possibile da qui. Chilometri e chilometri di distanza lontani, magari un’altra nazione, un altro continente. E non risuciamo a stare ferme nemmeno con la fantasia creando scenografie nella nostra mente del futuro o semplicemente guardando fuori dalla finestra quello che succederà. Davanti le persone, cose, automobili, in sottofondo Jean-Philippe Rio-Py – Brave heart. Che cos’è tutto questo se non fame di sogni che, come quella d’amore, non sazia mai? Pronte a gettarsi in relazioni che hanno scritto la parola fine in volto. Quel volto che, di solito, prende il respiro e lo stomaco diventando la ragione di vita. E forse questa è l’unica volta che riusciremo a fermarci, almeno per un po’.
Chi si ferma è perduto, o forse no.
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