Perdersi senza la necessità per forza di ritrovarsi. Senza bisogno di GoogleMaps che ti dica dove e quando svoltare, senza una mappa che ti suggerisca quale sia la direzione da prendere. Che se svolto a 100 metri a sinistra so quello che mi aspetta, ma se lo faccio 50 metri prima o dopo – a destra magari – può essere anche meglio. L’arte di complicarsi la vita che le cose semplici le lasciamo a chi decide di organizzarsi il capodanno a fine agosto decidendo già cosa indossare e dove prenotare, a chi sceglie le strade lineari così semplici che è come bere un bicchiere d’acqua natuale a piccoli sorsi.
Imparare a fidarsi dell’istinto, di quell’intuito che ti porta a preferire un uomo piuttosto che un altro, che ti fa scegliere quel tramezzino con “non so che” semplicemente per il nome. Che sarà sicuramente buono dopo una giornata alle prese con km ancora da macinare e monumenti già visitati attraversando vicoli con gli artisti di strada che fanno respirare l’arte più spontanea in qualsiasi sua forma. L’odore di bucato e poi quello di hot-dog ad ogni angolo e quell’aria afosa in metro misto a sudore e sigarette dove sconosciuti camminano a passo spedito osservando l’orologio, mentre altri cercano di orientarsi tra le fermate con sguardi che si incrociano e sorrisi e parole che si confondono tra il rumore delle rotaie. Chissà quanti amori sono nati lì come quello che la mattina ti porta a svegliarti ancora vestita indossando un minidress nero. Con lui accanto.
“Immagina una gioia: molto probabilmente penseresti a una partenza”. Oppure a un ritorno.
Che il bello di qualsiasi capolinea è vedere che sei mancata a qualcuno.
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