Non lo so il motivo ma questa mattina a me è venuta in mente la mia prima storia. Quella delle medie. Avrò avuto 12 anni, più o meno. Niente cellulari, non sono della generazione in cui si nasce con il cordone ombelicale e l’Iphone attaccato, per (s)fortuna. Ma ci sentivamo con il telefono di casa. Lui andava all’allenamento e mi chiamava dalla cabina telefonica. Io sapevo che verso le 16, minuto più o meno, il telefono avrebbe squillato. Aspettavo ma la chiamata arrivava sempre, puntuale. E tra parole dette e sussurrate, stavamo in linea ore con il suono delle monete in sottofondo che ogni tanto venivano aggiunte per non terminare la chiamata. Meglio di una cena, di una serata al cinema, di una passeggiata. Niente di più romantico.
Ecco tutta questa storia dei messaggi, dei visualizzati, dei rispondo dopo ore se non anni, con più errori grammaticali che parole, con smile, emoticon, animazioni, con interpretazioni, in alcuni casi traduzioni, dei significati della serie “che vorrà dire”, a me ha stancato. Non so a voi. No, perché se uno fa fatica ad alzare la cornetta e cominciare un discorso con “Ciao, come stai?”, immaginiamolo poi a letto. Chiamiamoli segnali.
(Dove sono finite le chiamate e i fiori?).
Credits: weheartit
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